E’ opinione comune che i proverbi sono un autentico tesoro dell’umanità non soltanto per i suoi contenuti ma anche per l’espressività viva e schietta che da essi ne deriva e, nel nostro caso, anche per la parlata dell’antenato alla quale è legata la nostra parola dialettale che il poeta Alessandro Moreschini con amore e dedizione in questo ultimo ventennio ha cercato di recuperarne una più fedele e corretta memoria storica.
Per Aristotele, grande filosofo della Grecia, i proverbi, i modi proverbiali, gli aforismi, erano “reliquie del passato “ dove attinsero, politici, filosofi, moralisti, psicologi ed anche poeti e prosatori disseminandoli nei loro testi e nelle loro opere (Plauto, Cervantes, Shakespeare ).
Il Giusti, poeta italiano,amante dei proverbi, diceva, in una lettera dedicatoria ad Andrea Franciosi, accademico della Crusca, che il proverbio è la vera voce del popolo, una creazione popolare che sa dare spesso suggerimenti,ed insegnamento e risposte agli accadimenti del quotidiano.
Una letteratura quella del proverbio, anche se a volte contradittoria, a causa delle diverse e talvolta opposte condizioni culturali e sociali che, con forme brevi, precettive, bizzarre, epigrammatiche, satiriche, allegoriche, spesso rimate o ad assonanza, tramanda di generazione in generazione le esperienze dell’uomo del passato, i suoi sentimenti, i suoi costumi, la sua lingua, la sua storia.
Io credo che l’archetipo espressivo di grande sublimità del proverbio sia nei brani evangelici, dove spesso la sapienza pratica, non viene soltanto dall’alto ma anche dal basso, soprattutto quando si parla di problemi umani, sociali, di agricoltura e di metereologia.
I più antichi proverbi (ricordiamo gli studi fatti dai professori americani Gordon e Lambert) risalgono a circa 4000 anni fa e provengono dalla Babilonia. Dopo la eloquente espressione del linguaggio proverbiale di Salomone, in seguito troviamo un grande interesse per il proverbio e la massima, nel mondo greco: Crisippo, Zenodoto, Talete, (Aristotele ne fece una raccolta); nel mondo latino: Cicerone, Seneca. Nella nostra letteratura,ricordiamo il fiorentino Serdonati 1580, Francesco Lena 1674, Carlo Strozzi 1720 e, verso la metà dell’800, il Coletti, il Fanzago, Gino Capponi, la notissima raccolta del Giusti1885, del Gotti, del Vannucci, sino ad arrivare al 900 con l’Antoni, il Lapucci, la Galanti ed altri.
Per quanto riguarda il Lazio, oltre al romano Giggi Zanazzo1826, al Cibotto e al Del Drago, vi sono altre raccolte di modi proverbiali, ma tutte di piccole entità a carattere municipale. Nel nostro comprensorioTiburtino-Sublacense, esse appaiono gran parte dopo il 1989 alcune delle quali abbastanza interessanti (vedi Roviano1990).Il primato in ogni modo della raccolta di proverbi di una certa consistenza edita prima di suddetta data, spetta ad un ricercatore castellano, Alessandro Moreschini.
Nella sua opera poetica dal titolo”Casteju Bbeju Tuttu vantu”(1983) con prefazione di Franco Sciarretta, infatti l’autore inserisce una raccolta di termini di paragone, frasi idiomatiche, soprannomi, testi anonimi e indovinelli e circa seicento proverbi e modi di dire.
Che dire di questa più ampia raccolta di proverbi castellani del nostro concittadino poeta Alessandro Moreschini?
Anzitutto c’è sottolineare che il materiale, è stato raccolto sul campo “dalla viva voce degli anziani “nei luoghi più disparati: nelle osterie, nelle case, nelle campagne, nei vicoli nelle piazze, per anni, giorno dopo giorno. Questa raccolta oltre ad essere “veri ruderi di una parlata, essa rappresenta anche l’esperienza, il bagaglio culturale e l’abbecedario di una Comunità sulla quale lo stesso Poeta in un suo scritto ne dà una interessante testimonianza:”Ben ricordo- afferma il Moreschini – la parca loquacità dei vecchi castellani, laddove il dialogo era rappresentato quasi esclusivamente da citazioni di detti e proverbi. Ad una affermazione proverbiale l’altro annuiva con una allocuzione, un altro motto,un modo di dire adeguato, ereditato e riposto nella memoria gelosamente. Il loro colloquiare mancava totalmente della prosopopea che tanto aleggia nei lunghi discorsi degli uomini d’oggi soprattutto di quelli acculturati.(..giornali,televisioni, assemblee, ecc.).senza che abbiano detto nulla di semplice e concreto; mentre loro ”gli antenati“, nei loro brevi e incisi “ parlari “ enunciavano e ostentavano tutta la saggezza ereditata a loro volta dai padri “
Non c’è alcun dubbio, che trattasi di lavoro di grande interesse storico dialettologico che si va ad aggiungere alle altre pregevoli opere poetiche e di ricerca dialettale dell’autore.
Dalla lettura dei testi infatti emerge una poliedricità di argomenti che vanno dalla famiglia all’amore, dal rapporto tra madre e figlio,al rapporto con i Santi a quello con il prossimo; dalle stagioni, ai mesi; dalla casa alla campagna e soprattutto il dialogo con gli animali,le piante e con la grande madre Terra dalla quale l’uomo castellano riceveva e riceve tuttora ogni ben di Dio e con la quale egli ha contatto e un colloquio profondo, quotidiano: Sappite co la tera ‘nnustrecane che da la tera ‘nne ricchezza vène..
Presenti sono nel testo molti proverbi riferiti ai mestieri, alle piantagioni, alle semine, alle raccolte alla potatura, agli innesti. Non mancano riferimenti ai fenomini atmosferici come il cielo, le nuvole, i tuoni, la pioggia, la grandine,il sole, il vento. E poi una infinità di motti e proverbi legati alla vita sociale, sulla vita, sulla morte. Un insieme di detti da formare un vero e proprio codice di comportamento.
Gran parte dei proverbi non hanno bisogno di essere tradotti né tanto meno commentati tanto sono comprensibili ed accessibili a tutti. Ne citiamo alcuni estremamente, significativi e peculiari (sulla famiglia): Chi vatte la moje vatte la casa, La mare bbrutta fa i fiji bbeji, Tra mmoje e maritu ‘n-ce mette ju ditu, Chi ne tè una l’affoca chi ne tè tante l’alloca, Femmona nana tutta tana; ( sull’amicizia) : Se vo che l’amicizia se mantene,’na mani va e una vène, Mejo ‘n-amicu che centu parenti; (sulla casa): Casa sottu tittu ‘n-te crompà..,Beata bella casa che tè ‘na chirica rasa, La casa agguatta ma non arobba, Chi ‘n-te’ la casa ‘n-te mancu ju vicinatu; (sul mangiare, bere e cucinare ): A la braciola la raticola a lo frittu la patella, Chi magna a ponta de corteju ‘n-ze rerempie mmai ju corzemeju, Lo vinu è la zinna de i vecchi, Lo vinu bbonu se venne senza frasca, Lo primu a chi tòcca j-appressu a chi ‘n-te la vocca, (sui fenomeni atmosferici):Canno Monte Pajaru se rencappèlla se va fore portate l’ombrella, Canno i nuvali vavu a mmare pija ju zappone e va a zappane,San Micchèle veste San Micchèle spoja, Canno ggiranu i pitturusci ju tempu se revasta, De San Giuseppe se reveja la serpe, Canno piove ju venardì Santu piove Maju tuttu vantu;( sull’agricoltura): Tera fa cranu e cranu fa i vovi, A ddo’ piagne ju zappone ce ride ju patrone, Chi tè la vigna tè la tigna, J-ortu vò j-òmo mortu, J-arburu che non mena so llena, Se vo’ ju majolu bbeju ‘nne tantu repassateju, Chi pianta la noce pianta la croce, Chi pota de Maju e zappa d’Austu no’ reccoje ne ppane ne mmustu,(sui mestieri) : ‘Mpara l’arte e mittila da parte, ‘Gnunu l’arte seja j-upu a le pecora, A chi sgobba la gobba a chi arobba la robba, A la vigna vacce a la botteca stacce, Cani e bbuttari a lo fore,( sugli animali) Ju somaru remane sempe somaru, La cajina Austarola de Febbraru feta l’ova,Cajina che canta ova niente, Canno canta ju cucuru piove sette assucca unu, Canno ju porcu è satuju revoteca ju pilozzu;( morali e sui principi della vita):Arca aroperta puru ju ggiustu ce pècca, A j-amore ‘n-ce fujine appressu, Se tte vo’ ‘m-puvirtì, manna l’òpere e ‘n-ce jì, La morte deretu a le porte etc.
Il lettore, oltre ai proverbi, troverà, sempre in dialetto, modi di dire, frasi idiomatiche, termini di paragone-similitudini ed attraverso una costruzione poetica dell’autore, l’elencazione dei soprannomi delle antiche famiglie castellane molto in uso una volta per chiamarsi e riconoscersi, in sostituzione del nome.
Prefazione di: Paola Santolamazza
Casa Editrice: IL CENTAURO
Anno di pubblicazione: 1996